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Tunisini sicilianizzati



              A Mazara del vallo il richiamo alla preghiera si sovrappone con l'omelia cristiana e coinvolge
              abitanti e passanti. Per qualche minuto Oriente e Occidente si contaminano fino a confondersi.
              Moschea e chiesa, adiacenti l'una all'altra, sono situate nel cuore dell'antico quartiere arabo, in
              cui si insediarono i primi tunisini e dove continuano a vivere. E’ una particolarità di Mazara.
              Forse è l'unico luogo, in tutto il resto d'Italia, in cui c'è il richiamo alla preghiera.

              La vita della piccola cittadina siciliana, ieri
              come oggi, è indissolubilmente legata alla
              pesca, un'arte tramandata da padre in figlio.
              Alla fine degli anni '60 la richiesta di
              manodopera nel settore della pesca attirò
              migliaia di disoccupati magrebini.
              «In Tunisia si vive di pesca, la maggior parte
              degli immigrati che arrivarono in Sicilia
              lavoravano in mare e svolgevano il mestiere
              che sapevano fare. Le nuove generazioni,
              scolarizzate e istruite, sperano in nuove
              opportunità di lavoro.  Hassine T. 28 anni,
              originario di Mahdia, è uno dei giovani che
              dopo gli studi ha trovato un impiego. «Ho
              frequentato la scuola alberghiera e da undici
              anni lavoro in un ristorante della zona. Questa
              professione mi ha permesso di stringere tante
              amicizie, soprattutto con i mazaresi. Adesso,
              passo più tempo con loro che con i miei
              compaesani. Grazie alla mia educazione sono
              riuscito a integrarmi e ho anche una fidanzata
              mazarese».


              L'interculturalità è evidente in alcuni luoghi di incontro tra immigrati e autoctoni. L'esempio
              piuù celebre è quello di un ristorante tunisino situato nella casbah. Gestito da donne di una
              famiglia maghrebina, è simbolo di emancipazione economica femminile. La proprietaria, giunge
              a Mazara nel '74. «Dopo il matrimonio io e mio marito ci siamo trasferiti qui. Quando sono
              arrivata non conoscevo nessuno ma nei mazaresi ho trovato una famiglia». Parla in dialetto
              siciliano, mentre ricorda come è nata l'idea del locale. «Alcuni anni fa, quando mio marito è
              stato colpito da una grave paralisi, ho deciso di aprire questa attività. È stato difficile ma sono
              orgogliosa perché è un punto di aggregazione tra culture diverse», confessa. Madre di quattro
              figli, dichiara di sentirsi perfettamente integrata. «I miei figli nati e cresciuti in Sicilia, quando
              vanno in Tunisia si sentono degli estranei perché tutti i loro amici sono qui». Rispetto ai loro
              padri, i giovani di seconda e terza generazione hanno maggiori possibilità di condividere spazi e
              situazioni con i loro coetanei siciliani.
              (Testimonianze dirette)




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