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La Crostata al cavolo è l’insieme perfetto di differenti ingredienti dove due di
essi sono specifici: la « bètchèye », un formaggio fermentato di vacca e le
« bettes », ortaggio verde che si trova nelle « jottes » vendéennes e che ha dato il
suo nome di « Djote » alla preparazione.
Già nel XIII secolo, era in commercio il formaggio a Nivelles: formaggi morbidi
(« mol froumaige ») o formaggi duri che erano importati, come il gruviera, l’olandese
o il parmigiano.
Al contrario, il « mol froumaige » era verosimilmente un
formaggio fresco (di tipo maquée) o formaggio fermentato
fabbricato nel paese che, a causa della sua breve durata di
conservazione, doveva essere consumato immediatamente.
Le « Boulettes nivelloises », a base di formaggio fermentato
dovevano appartenere a questa seconda categoria.
Secondo documenti risalenti al 1425, formaggi simili venivano offerti al
magistrato della città, ai membri dei Chapitre e agli ospizi, in particolare durante la
festa del « katamayî », che ricorda la consacrazione della chiesa di Santa Gertrude
nel 1046. Sappiamo che essi erano presenti anche sulla tavola della regina di Francia
durante un viaggio nelle nostre regioni nel 1544.
Se nel Medioevo si consideravano le bietole come una pianta rustica
consumata dai contadini, a queste si riconoscevano tuttavia dei valori dietetici e
terapeutici. L’uso delle bietole era molto diffuso tra l’altro per la preparazione della
« la poirée », una minestra energizzante.
Durante il Rinascimento, le bietole ripresero prestigio, con la comparsa di varietà
migliorate provenienti da orti italiani, da cui il nome generico di « Beta Romana ».
Non ci sono reali notizie che tracciano la storia della « Tarte al Djote ».
Negli archivi di Nivelles del Medioevo, si trovano notizie di torte al formaggio ma
senza l’indicazione di « Djote ». Si pensa di aver trovato la prova inconfutabile della
sua origine in un testo del 1218, che racconta di una controversia tra la Badessa di
Nivelles, che si rifiutava di dare ai membri del suo Chapitre le loro gratificazioni
abituali. Queste, in realtà, consistevano in torte al formaggio, scherzosamente
chiamate nel testo latino « placentae », che significa « enveloppes = buste ».
Anche se il testo non menziona le bietole è pur vero che il suo interesse risulta
considerevole. La controversia del 1218 decretò, una volta per tutte, la forma, la
capienza e il contenuto preciso di questa torta che fu oggetto di una codificazione
regolamentata. Da qui, le uova dovevano essere rotte nell’impasto da una persona
« dalla reputazione incontestata ». Ciò corrispondeva a una sorta di denominazione
di origine controllata o etichetta di qualità ante litteram.
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